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Nell' anno 1709 Paolino Ghiareschi, appena conseguito il diploma di speziale, si trasferì da Cerreto di Sotto (l'attuale comune di Borgo a Mozzano in Toscana) ai bagni di Lucca, denominazione con la quale era maggiormente noto il vicino comune di Bagno a Corsena, per aprire una farmacia finalmente riconosciuta dal Governo Lucchese. Nonostante infatti che Bagni di Lucca fosse il principale comune termale d'Italia, esso era ancora privo di una spezieria ufficiale. Già il filosofo Michel De Montaigne aveva testimoniato come nel 1581 esistessero solo dei mestieranti: "Gli abitanti di questo luogo vi trascorrono per lo più anche l'inverno, e vi hanno bottega, specie di farmacia, ché quasi tutti sono speziali". Inoltre sui verbali dell’ Offizio sopra li Speziali della Repubblica di Lucca redatti tra il 1563 e il 1673 si legge: "..si è introdotta una usanza ai Bagni chegli hosti, in grandissimo danno dei forestieri et utile loro eccessivo, fanno la spetiaria o la fanno fare a persona che non sa ciò che si facci".Così, sia per ottemperare alla richiesta degli Anziani della Repubblica di Lucca, sia perché i Bagni di Lucca distavano appena 6 chilometri dal suo paese natìo, ma soprattutto perché l'amenità e la notorietà del luogo lo meritavano, Paolino, erede di una famiglia benestante che era presente in Lucchesia già nel 1400, scelse questo comune per la sede della sua farmacia, costruendo l'edificio con la farmacia al piano terra e l'abitazione ai piani superiori.Trasmessa in successione al figlio Vincenzo nel 1737, al nipote Paolo Pasquale nel 1767, al bisnipote Paolino nel 1796, la farmacia si affermò in tutta la zona divenendo fornitrice ufficiale delle terme e di tutta la prestigiosa colonia italiana e straniera che si avvicendava nella località. Notevole la biblioteca medico-farmaceutica creata dai Ghiareschi in quegli anni.Sempre viva fu la partecipazione della famiglia all'intensa vita sociale del paese: ad esempio essa sottoscrisse due delle 14 quote (100 scudi d'oro) che servirono, nel 1790, all'edificazione dello storico Teatro Accademico.
Nel 1805, con l'avvento al governo di Lucca della principessa Elisa Baciocchi sorella di Napoleone Bonaparte, la farmacia fu ristrutturata completamente in stile impero e corredata della mobilia e dei 53 vasi bianchi e oro della Ginori che la arredano ancora oggi. Sempre in questo periodo fu realizzata la sala delle feste in un'ala della casa, affrescata con motivi classici e decorata con le api napoleoniche, dove la famiglia organizzava ricevimenti durante la villeggiatura.
Nel 1823 Maria Luisa di Borbone, duchessa di Lucca, autorizzò la farmacia a fregiarsi dello stemma reale con l’iscrizione "Reale Farmacia dello Spedale dei Bagni" a patto che "…si darà tutto l'impegno acciò il suddetto lavoro sia eseguito da abilissimo artefice e tenuto con quella decenza che conviene".Nel 1833 Paolino Ghiareschi, morto senza figli, lasciò suo erede universale Adriano Betti, figlio della sorella Maria Teresa Ghiareschi, che aveva conseguito il diploma di laurea nel 1825 presso il Collegium Medicorum di Lucca. Adriano Betti si occupò con passione della sua attività, ma fu anche personaggio dotato di molta curiosità e di spiccata attitudine per la vita di società. Bisogna dire che era nato al momento giusto nel posto giusto: l'800 vide ai Bagni di Lucca personaggi come Byron, Shelley, Paganini, Liszt, Giuseppe Giusti, i Napoleonidi, Heine, Dumas…
….. Molti furono ospiti in casa sua. Un rapporto particolare lo instaurò con i poeti inglesi Robert Browning e la moglie Elisabeth Barreth che soggiornarono in casa Betti nel 1857. Adriano compilò un ricettario che differentemente da quello degli avi, esclusivamente medici, spaziava in tutti i campi, dal panforte, all'inchiostro, ad un metodo per conservare i rinomati funghi della zona, ad un altro per accrescere le piante, alle vernici per le carrozze e gli stivali, a profumi, colonie, vermouth, compresa la formula esclusiva di un Curry indiano di gusto particolare che, all’epoca, era richiestissimo dai raffinati ristoranti internazionali della località e che viene riprodotto con successo ancora oggi. Egli fu direttore del Teatro Accademico per numerosi anni, recitando egli stesso con successo. Si legge su un libro inglese dell'epoca: "The village apothecary, a handsome youth, is the Roscius"
Nel 1848 fu nominato comandante generale della locale Guardia Civica Toscana fondata per ordine del Granduca, avendo ai suoi ordini ben 2000 militari. Morì ad appena 54 anni lasciando la farmacia al figlio Adelson. Questi, valente farmacista ed autore anch'egli di diverse formule magistrali, fu di gusti e modi più semplici del padre, coltivò la passione per la natura e per la caccia, realizzando una vasta azienda agricola sulla vetta del monte termale.
Recitò e diresse anch'egli il teatro, ma soprattutto la musica fu la sua passione principale. Fu per questo che coltivò lungamente rapporti con Carlo Ducci di Firenze, Francesco Paolo Tosti, Alfredo Catalani, Ippolito Raggianti, Giovanni Sgambati e ospitò spesso a cena un promettente giovane squattrinato che veniva a Bagni di Lucca a suonare nelle feste per guadagnare poche lire: tale Giacomo Puccini. Fu su richiesta di Adelson che Puccini, appena diciassettenne, scrisse il suo "Vexilla" appositamente per la chiesa parrocchiale di Bagni di Lucca dove il farmacista era organista. Intorno al 1870 ottenne l'autorizzazione dalla Regina Vittoria di fregiarsi dello stemma reale inglese e della nomina a Pharmacy of the British Embassy che, per semplicità, fu trasformata nella dizione corrente di Farmacia Inglese. Le passioni di Adelson si trasmisero ai figli, i fratelli gemelli Mario e Adolfo. Adolfo fu musicologo e violinista di fama mondiale ed alcuni dischi del suo "Flonzaley Quartet" dove era primo violino, incisi tra il 1910 e il 1930, sono ristampati ancora dalla RCA. Amico personale di molti musicisti, tra cui Giacomo Puccini, Pietro Mascagni e Ottorino Respighi, eseguì molti concerti in America con Arturo Toscanini. Il suo violino personale, un Guarneri del Gesù, è oggi esposto al Metropolitan Museum di New York.
Neanche il fratello gemello Mario si adattò alla tranquilla vita di paese. Appassionato di lettere, si laureò in Chimica e Farmacia per fare contenti i genitori ma, alla morte del padre nel 1903, affidò la farmacia ad un compagno di corso e continuò la carriera universitaria. Assistente per 10 anni a Firenze del valente chimico Ugo Schiff nel 1915, a 40 anni, fu eletto il più giovane Rettore italiano presso l'Università di Siena. Nel 1923 vinse il concorso nazionale per la Cattedra di Chimica dell'Ateneo Bolognese, vacante dopo la morte del famoso Giacomo Ciamician. Fu amico personale di Giovanni Pascoli, di Giovanni Gentile, di Benedetto Croce, di Guglielmo Marconi a cui conferì,
nel 1937, la laurea in fisica Honoris Causa. Ben 132 pubblicazioni scientifiche seguite in prima persona, una reazione chimica ancora oggi conosciuta come"Reazione di Betti", Presidente Nazionale degli Idrologi Italiani, uno dei 40 della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale dell'Accademia dei Lincei e di altre decine di associazioni, la nomina a senatore del Regno nel 1939, sono alcune delle prove a dimostrazione della sua dedizione alla ricerca e alla scienza. Nel 1941 raggiunse forse il suo più prestigioso successo. Quasi 100 anni prima Luis
Pasteur aveva affrontato il problema della differenza tra composti organici presenti in natura, otticamente attivi, e gli stessi ottenuti per sintesi, otticamente inattivi. Oggi siamo a conoscenza della presenza dei racemi che annullano la rotazione della luce essendo una miscela della medesima sostanza sia levo che destrogira, ma Pasteur concluse che la differenza era dovuta alla mancanza della vita, la "Vis Vitalis". Chimici americani, greci, tedeschi avevano in quegli anni tentato di risolvere il problema quando Mario Betti, con una pubblicazione intitolata "Chimica organica e vitalismo", rese noto al mondo di avere risolto un "grande mistero della natura" sintetizzando composti otticamente attivi con materie esclusivamente "morte2. Non solo i giornali scientifici ne parlarono, ma fu una notizia di più ampio interesse perché determinò la fine di un pregiudizio, cioè della "misteriosità inimitabile della vita". Un articolista commentò sulla terza pagina della Nazione il 26-27 aprile 1942: "I professori Betti di altri tempi avrebbero rischiato il rogo". Poche settimane dopo Mario Betti morì. Il male che lo affliggeva, e che lo aveva costretto a notti insonni per la paura di non concludere il suo lavoro, lo aveva vinto. La farmacia nel frattempo era
ormai da 40 anni gestita dalla famiglia del compagno di corso. Essa, affidata senza contratto perché la gestione non poteva essere scissa dalla titolarità, rischiò di essere perduta durante la confusione successiva alla fine del secondo conflitto mondiale. Fortunatamente uno dei figli di Mario, Adriano, laureato in Chimica e ricercatore presso l'industria Breda, dopo il conflitto mondiale trascorso in aviazione come ufficiale pilota di caccia, si laureò in pochi mesi anche in farmacia e andò per tribunale riottenendo il possesso della farmacia, nel frattempo confiscata ed acquisita dal Comitato di Liberazione Nazionale. Purtroppo durante la guerra la casa era stata saccheggiata e la maggior parte dei reperti di farmacia, vasi, strumenti, libri, documenti, oltre ovviamente agli oggetti di valore, erano stati trafugati o distrutti. Adriano, rimasto ormai legato al lavoro di farmacista, non abbandonò la passione per lo studio e la ricerca dedicandosi particolarmente alla tecnica. Tra le sue invenzioni, quella di maggior successo la elaborò con il fratello gemello Alberto, docente di architettura presso l'Università di Roma: nel 1951 i due fratelli misero a punto un sistema rivoluzionario di cinema a rilievo senza uso di occhiali, che suscitò l'interesse di De Laurentis, William Wyler e altri registi famosi e che interessò molti giornali italiani e stranieri del periodo.
L'avvento del Cinerama a tutto schermo e del cinema di massa, sospese l'interesse per il procedimento che necessitava di ambienti piccoli e di un numero di posti limitati; l'invenzione è comunque oggi entrata a far parte della storia del cinema.
La farmacia in tutti questi anni ha subito diversi restauri ma la massima attenzione è sempre stata posta per mantenere un equilibrio tra le caratteristiche originali e le nuove esigenze di mercato. Adriano Betti, morto nel 1991, ha lasciato la farmacia in eredità al figlio Massimo, il sottoscritto, nona generazione di farmacisti.
Massimo Betti